Caro Vito,
lunedì scorso si è riunito il direttivo dell’Assostampa e abbiamo parlato anche del tuo articolo sull’informazione in Sardegna (“Informazione in Sardegna, che fare? Contro la crisi servono analisi serie e non inutili passerelle”), dell’analisi che formula, dei dati che cita e di come li proietta. Dico “anche” perché avevamo un ordine del giorno denso come un nuvolone autunnale e a tratti dello stesso colore, ma ci siamo trovati d’accordo (con te e fra di noi) su tre cose.
1 – Bisogna studiare. Quante testate abbiamo in Sardegna e di che tipo? Quanti occupati hanno e quanti cittadini raggiungono? Come e quanto guadagnano? Quali di esse, come e quanto sono sostenute dalla mano pubblica, e perché? Se non sappiamo queste cose non possiamo confrontarci con gli editori né con la Regione, e forse neppure fra di noi.
2 – Bisogna andare sul territorio e incontrare le colleghe e i colleghi. A ciascuno di noi piace la vecchia e nobile idea che il giornale sia un prodotto dell’ingegno collettivo: il giornalismo sardo deve cominciare a vedersi e regolarsi allo stesso modo, almeno quanto a prospettive, rivendicazioni e senso di sé, e i nostri enti di categoria – prima di tutti noi, il sindacato – devono fare da sinapsi. Sì, ci sono i social, lo so. E ci sono le chat su whatsapp e le mailing list e le videoconferenze e un’altra carriolata di soluzioni tecnologiche. Ma è tempo che riprendiamo ad andare in assemblea e a guardarci in faccia come facemmo con gli stati generali del giornalismo sardo ad Alghero, ottima idea di Francesco Birocchi che in particolare nella prima edizione si tradusse in una mobilitazione forte, intelligente e per certi versi addirittura divertente, che diede a tutti noi molto senso di appartenenza e forse indusse la politica sarda a vederci con un pizzico di attenzione e rispetto in più. Ora però più che convocarci tutti in una località per tre giorni (da allora le cose sono cambiate: i giornalisti assunti difficilmente possono sguarnire le loro sempre più smunte redazioni e i giornalisti autonomi hanno il viziaccio quotidiano di guadagnarsi da vivere) siamo noi rappresentanti sindacali e ordinistici che dobbiamo andare sul posto, nei posti. Per capire di che cosa parliamo quando parliamo di informazione in Barbagia, per dire, o nel Sulcis o in Anglona. Sono certo che ovunque troveremmo (troveremo) teste pensanti e punti di vista, elenchi di problemi ma anche spunti, proposte, esperienze. E speranze.
3 – Smettiamo di zittirci l’un l’altro ripetendoci che “tanto ci sarà sempre bisogno di informazione”. Nell’arco della storia dell’Occidente l’informazione libera e robusta è un elemento prezioso finché si vuole, ma nel complesso recentissimo. E anche oggi in molte zone l’informazione non è libera né robusta, o addirittura non è. O ci muoviamo e troviamo insieme agli editori modi intelligenti ed efficaci di proporre il sale democratico della nostra professione (micropagamenti per leggere sul telefono i singoli pezzi? Scelte tematiche su argomenti mobilitanti? Più inchieste ed esclusive e meno cronache della consuetudine? Storytelling? Bollino blu anti fake news? Intervistone lunghe e magari anche ben scritte? Parliamone) oppure domani il cittadino lettore (ascoltatore, eccetera) potrebbe diventare come il digiunatore di Kafka: per anni gli spettatori del circo lo osservarono increduli mentre se ne stava accoccolato in una gabbia e si ostinava a non nutrirsi. Solo poco prima di spegnersi, dopo anni di digiuno, spiegò: “Non ho ancora trovato il cibo che mi piace”.
Lunedì 10 il direttivo dell’Assostampa si riunirà di nuovo: mi farebbe molto piacere se tu intervenissi. Se vuoi ti metto in permesso sindacale da te stesso.
Celestino Tabasso
Presidente dell’Associazione della Stampa Sarda
Foto tratta dal sito web di RadioX Lettera pubblicata sul blog di Vito Biolchini